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IL CORPO RADICE

IL CORPO RADICE DELLA CONSAPEVOLEZZA DI SE’

 

Gruppo di crescita personale attraverso un’esperienza globale di sé comprendente  corpo, mente, emozioni e consapevolezza

 condotto da Daniela Pancioni, Danza Movimento Terapeuta, esperta in Arti Espressive e psicologa

“ La prima cosa che dobbiamo fare è lavorare dentro il nostro corpo individuale, senza cercare scappatoie, perché è proprio questo corpo il luogo in cui la coscienza si connette con la materia”

(La Madre)

 

Entriamo gradualmente in uno spazio protetto e libero dai condizionamenti e  dai giudizi, e procediamo a contattare e a risvegliare le nostre energie vitali profonde a partire dal nostro corpo. Ad occhi chiusi iniziamo la pratica del Movimento Autentico attraverso l’ascolto del nostro mondo interiore a cominciare dalle nostre sensazioni fisiche.  La focalizzazione è sulla percezione del nostro corpo, sull’esperienza vivente. Alla presenza della conduttrice-testimone avvertiamo  noi nostri impulsi corporei e iniziamo l’esperienza del muoverci a partire da dentro, dal nostro essere più autentico .Ci” facciamo muovere” dal nostro Sé sviluppando la presenza del nostro testimone interno che ci vede e ci accoglie amorevolmente proprio come siamo. Pratichiamo così la consapevolezza della nostra essenza portando la luce della nostra coscienza al nostro mondo interno, a ciò che è buio e inconscio. Grazie ad una presenza più totale al nostro corpo cominciamo a discernere le nostre sensazioni fisiche dalle emozioni, e le immagini e dai pensieri. Pratichiamo una verbalizzazione “incarnata”della nostra esperienza cominciando a rintracciare la sequenza dei nostri movimenti nello spazio. Attraverso uno sguardo amorevole che emana il nostro intero essere siamo testimoni all’esperienza dell’altro così come ella/egli è, vediamo più chiaramente il suo corpo/movimento e sviluppiamo la coscienza delle nostre proiezioni  rimanendo in contatto con il nostro corpo e mondo interno . Siamo infine testimoni al “corpo collettivo”, quel campo condiviso che si estende al di là della nostra individualità e che ci offre la possibilità di entrare in risonanza con il “Tutto”.

 

“Ogni realtà individuale, oltre ad essere se stessa, riflette in sé qualcosa di universale e contemporaneamente è se stessa proprio in ragione delle altre individualità”

(D.T. Suzuki)

IL CORPO COME CENTRO

RIPORTARE IL CORPO AL CENTRO DEL NOSTRO PERCORSO VERSO LA SALUTE GLOBALE

Viviamo in una cultura e società, quella occidentale, che privilegia il pensare rispetto al sentire, il fare rispetto all’essere, la “testa” rispetto al corpo. Questa società usa il corpo come una macchina, lo sfrutta,ne fa un suo schiavo.Una grande importanza è data all’intelligenza mentale e al linguaggio verbale, mentre l’intelligenza del corpo e il linguaggio non verbale sono largamente inascoltati e incompresi. Eppure sappiamo che circa il 70% della nostra comunicazione avviene a livello non verbale!

Viviamo in una società che da millenni ha diviso il corpo dalla mente e ciascuno di noi incarna questa frammentazione.

E’ chiaro che siamo in presenza di un grande disequilibrio e che il risultato di questa situazione sia un organismo estremamente sotto stress, che va verso l’esaurimento delle sue risorse ed energie, che si ammala!

Per ritrovare armonia dobbiamo dare dignità al corpo,dobbiamo tornare a sentire innanzitutto il nostro corpo fisico, a sentire di abitare il nostro corpo, ad avere coscienza del nostro corpo, a radicarci nel nostro corpo.

L’inizio del processo di riunificazione dei vari aspetti del nostro essere,fisico, emotivo, mentale e spirituale, ha inizio a cominciare dall’ascolto delle nostre sensazioni ed energie corporee, delle loro qualità specifiche. Sentire le nostre sensazioni è sentire le nostre emozioni,e così possiamo finalmente iniziare a pensare con tutto il corpo e non solo con la testa!

Quotidianamente reprimiamo il nostro corpo e la sua immane vitalità, le sue necessità di esprimersi a livello fisico, emotivo e spirituale. Fin dall’infanzia il nostro corpo è stato plasmato dall’esterno, dai condizionamenti che ci sono stati imposti dalla nostra famiglia e società. Il processo di guarigione dell’essere passa dunque innanzitutto attraverso un lavoro sul decondizionamento da queste influenze esterne, di “purificazione”  da tutto ciò che ci siamo assunti come nostro, ma che in realtà non ci appartiene perché non lo abbiamo scelto noi.Per la nostra salute e per quella della nostra comunità dobbiamo fare una grossa opera di discernimento fra ciò che sentiamo come nostro e ciò che ci è stato appiccicato addosso, che dobbiamo staccare da noi . Dobbiamo recuperare libertà e naturalezza, abbandonare l’influenza dei giudizi sociali e seguire la nostra autenticità.Allo stesso tempo è sano imparare a discernere una sensazione da un’emozione e da un pensiero, o da un’immagine.

Recentemente gli scienziati che operano nel campo delle neuroscienze hanno identificato i collegamenti fra cervello-sistema nervoso e sistema endocrino e immunitario, che rappresentano i canali di collegamento fra mente e corpo.Sono state identificate nello specifico le molecole mediatrici di questo rapporto, molecole che la neurofisiologa americana Candace Pert chiama “le molecole delle emozioni”.La Pert mette in evidenza come ormoni ed emozioni siano strettamente collegati.Per la Pert la mente, così come noi la sperimentiamo, è immateriale eppure ha un substrato fisico, che si identifica tanto con il corpo quanto con il cervello.

Accanto al grosso lavoro sui decondizionamenti, è importante sviluppare coscienza di sé, della propria essenza, processo fortemente facilitatati attraverso le pratiche meditative. Per l’uomo moderno che vive nell’Occidente sono state ideate diverse tecniche in proposito che partono dal movimento corporeo per stimolare lo scorrere delle energie e , a volte, la catarsi, per poi arrivare allo stato di meditazione vero e proprio in cui si lasciano andare i pensieri e si pratica la presenza nel qui ed ora.

Io mi occupo da molti anni di danza-movimento terapia,una particolare modalità che favorisce l’ascolto del corpo e del movimento quale modalità espressiva e comunicativa per l’integrazione psicofisica dell’individuo.La danza-movimento terapia è basata sull’assunto che corpo e mente sono in costante e reciproca relazione, a livello fisiologico e psicologico, cioè il moto e l’emozione sono correlati. Quindi al centro di questo approccio c’è il recupero del corpo,di quel 70% di esperienza di sé che qui diventa da inconscia a consapevole e che ci può offrire nuovi e saggi orientamenti per la nostra vita. Ma non c’è solo questo, c’è anche il recupero della sacralità del corpo che danza in comunione con l’interiorità e con il mondo esterno.Nella danza autentica emergono azioni simboliche usate per propositi sacri, di guarigione,spirituali a livello individuale e transpersonale. Il movimento autentico è una modalità che facilita la trasformazione della coscienza.In questo senso l’assunto di base è che coscienza e materia (il corpo fisico) sono in una costante e reciproca relazione, sono insieme.La percezione sensoriale è strettamente collegata ai processi cognitivi e affettivi in una sorta di pensiero cinestesico, il fisico è il substrato del mentale, così come il cervello rettile, la parte più primitiva del nostro cervello, è il substrato della neocorteccia, la parte più evoluta del nostro encefalo.

Nella danza-movimento terapia,dopo una fase di”riscaldamento” iniziale in cui la persona espone le sue problematiche e può essere invitata ad esplorare alcuni movimenti per offrirle un “vocabolario corporeo”, si passa ad una fase di “immersione”in cui si viene accompagnati ad entrare in una modalità più recettiva e profonda, passando così a risvegliare la parte destra del cervello, deputata a modalità non verbali, intuitive e analogiche.

PROGETTO ALZHEIMER

RELAZIONE PROGETTO ALZHEIMER PER LA CITTA’ DI ANCONA: GRUPPI FINALIZZATI AL BENESSERE PSICOFISICO DEI FAMILIARI

A cura di da Daniela Pancioni

 

Nell’anno 2008-2009 sono stati proposti tre gruppi di lavoro finalizzati al benessere psicofisico dei familiari dei malati di Alzheimer. Il primo essenziale dato registrato riguarda l’enorme difficoltà di questi soggetti ad arrivare, anche fisicamente ,a concedersi uno spazio di ascolto per sé. Inoltre ho avuto l’impressione che l’informazione relativa a questa attività, assolutamente gratuita per gli utenti, non sia stata sufficiente, o che non siano stati utilizzati canali sufficienti e diretti per diffondere questa iniziativa.

Inoltre, in base alla mia esperienza sul campo, ho rilevato la richiesta di diversi familiari di intraprendere un percorso individuale, piuttosto che di gruppo. Anche questa necessità sta ad indicare  che ci sono esigenze individuali a livello di orari di disponibilità per uno spazio per sé, e probabilmente la preferenza per uno spazio più privato dove portare le proprie problematiche personali.

 

Sulla base dei suddetti dati, l’attività è stata articolata nel seguente modo, al fine di coinvolgere il maggior numero di utenti:

–         formazione di un gruppo aperto sia ai familiari  dei malati che agli operatori della Casa di riposo Benincasa;

–         messa a disposizione di uno spazio riservato ad incontri individuali, rivolto ai singoli familiari.

 

Nel periodo fra settembre e dicembre del 2008 è stato attivato un primo gruppo di lavoro al quale hanno partecipato diverse operatrici della Casa di riposo Benincasa, che hanno trovato giovamento da uno spazio riservato al loro benessere psicofisico. Parallelamente sono stati avviati incontri individuali rivolti a due donne, entrambe mogli di malati di Alzheimer.In particolare è proseguito un percorso terapeutico con uno dei due soggetti, rimasta vedova del marito morto di Alzheimer pochi mesi prima. Il lavoro, incentrato sull’ascolto del corpo, ha sostenuto la donna nell’elaborazione del lutto per la perdita del marito e nella ricerca di un  nuovo orientamento da dare alla propria vita.

 

Dal maggio a luglio del 2009 è stato avviato un nuovo gruppo al quale hanno partecipato due familiari, figli di genitori malati di Alzheimer.Il lavoro è stato proficuo nell’offrire ai due soggetti uno spazio ricreativo per se stessi, dove volgere l’attenzione al riconoscimento dei propri bisogni, a cominciare da quelli fisici per giungere a toccare quelli di ordine psichico, e alla ricerca di modalità di soddisfazione degli stessi.

 

Nel periodo da ottobre a dicembre del 2009 è stato avviato un nuovo gruppo di lavoro e parallelamente è stato offerto uno spazio individuale ad una donna, figlia di una malata di Alzheimer.

Al gruppo hanno partecipato sia la stessa donna con il padre malato che aveva fatto parte del gruppo di maggio, che alcune operatrici della Casa di riposo Benincasa,comprese tre assistenti sociali.

Il lavoro è stato molto apprezzato dalle partecipanti che mi hanno richiesto di proseguire il lavoro dopo aver saputo la notizia che questa attività non sarebbe più stata finanziata.

Indubbiamente per coloro che operano nella relazione d’aiuto uno spazio per ri-crearsi, per “strizzarsi” dallo stress che spesso è vissuto in questa professione e per ricevere un sostegno psicologico diventa una preziosa ed indispensabile fonte di recupero e ricarica di energie psicofisiche, nonché di prevenzione del ben noto burnout.

 

Anche le sessioni individuali sono state valutate molto valide dall’utente in questione  per sostenerla nell’affrontare il suo stato ansioso costante. Il suo stress è risultato amplificato dalle problematiche relative al prendersi cura, e in casa propria, della propria madre malata, ma anche strettamente collegato a modalità non sane di affrontare le vicissitudini della vita da parte del soggetto precedentemente l’avvento della malattia della madre.

Anche questa donna,molto dispiaciuta per la necessaria interruzione del lavoro, ha espresso il desiderio di proseguire il percorso iniziato.

 

A conclusione di questa breve relazione, mi sento di affermare che questa esperienza è stata utile per mettere a fuoco alcuni importanti aspetti da considerare nello specifico e all’interno di una visione più globale del progetto, nell’eventualità di una futura riproposta di uno spazio dedicato al benessere psicofisico.

Queste le azioni da intraprendere che ritengo utili:

 

1)     dirigere e diffondere l’informazione riguardante questa attività in modo diretto e appropriato. Credo che occorra chiedersi come mai sul territorio le associazioni per i familiari dei malati di Alzheimer siano molto conosciute e questa iniziativa del Comune invece non lo sia sufficientemente;

2)     proporre gruppi rivolti ai familiari dei malati di Alzheimer e mettere a disposizione loro anche uno spazio individuale più prettamente terapeutico, di sostegno psicologico a mediazione corporea per raccogliere le esigenze più strettamente personali di alcuni utenti in particolare;

3)     proporre un gruppo di lavoro rivolto agli operatori della Casa di riposo che lavorano con i malati di Alzheimer e con i loro familiari.

 

 

Ancona, 14 febbraio 2010                                                           Daniela Pancioni

L’UNITA’ CORPO-PSICHE

L’UNITA’ CORPO-PSICHE: UNA PROSPETTIVA DI INTEGRAZIONE

di Daniela Pancioni *

 1) Unità psicocorporea, genesi della salute: un corpo in buona salute è un corpo che anima la psiche

2) Alla radice della patologia: il corpo nei disturbi del comportamento alimentare

3) L’approccio psicocorporeo esperienziale nel lavoro terapeutico

Premessa

Perché si avverte sempre più l’esigenza di ricercare la connessione corpo-psiche e corpo-mente?

Innanzitutto, credo, perché un numero sempre più crescente di malattie e di disturbi vengono definiti di natura psicosomatica, mettendo in evidenza come le cure dedite solo al corpo o solo alla psiche “oggettificati”, risultino inadeguate per la guarigione dell’individuo che ne sia sofferente. Occorre dunque un approccio olistico, rivolto cioè all’intero individuo.

E poi, credo inoltre, perché la psicoanalisi, a cominciare da Freud, , non si è occupata in modo esplicito, articolato ed approfondito di questa fondamentale connessione, anche se ha indubbiamente lasciato orme importanti che sono state seguite nel tempo da analisti e terapeuti che hanno nutrito un particolare interesse intorno all’ambito psicosomatico, integrando le più svariate teorie psicoanalitiche con altre conoscenze in ambiti quali la pediatria, la neurologia, la neuropsichiatria, le neuroscienze, la biologia, la fisioterapia ,la bioenergetica  e la danza-movimento terapia.

Alcune parole chiave di questo scritto , che intende esplorare alcuni importanti percorsi sulle tematiche relative alla genesi dell’unità psicosomatica : livello sensomotorio, propriocezione, integrazione delle funzioni somatiche-percettive-motorie, sintonizzazione, ruolo genitoriale di regolazione del Sé del neonato, livello subsimbolico, intelligenza emotiva, movimento autentico. Parole che evocano connessioni interne ed esterne al nostro corpo, di natura sia fisica che psichica.

Come ricorda poeticamente Damasio,”l’anima respira attraverso il corpo e la sofferenza che muove dalla pelle o da un’immagine mentale, avviene nella carne…All’inizio vi fu l’essere e solo in seguito vi fu il pensiero, e noi adesso, quando veniamo al mondo e ci sviluppiamo, ancora cominciamo con l’essere e solo in seguito pensiamo” ( Damasio, 1994 ).

 

Com’è un corpo in buona salute? Da quando e come  ha inizio questa connessione tra corpo e psiche?

E prima di tutto: che cos’è il corpo o il soma? E che cosa è la psiche? E la mente, in rapporto al corpo e alla psiche? Come si comporta il corpo nella malattia psicosomatica ed in particolare nei disturbi dell’alimentazione?

In che cosa consiste l’approccio psicocorporeo a  carattere esperienziale nel lavoro terapeutico?

                                                                                                 

UNITA’ PSICOCORPOREA , GENESI DELLA SALUTE:

un corpo in buona salute

                          è un corpo che anima la psiche

Un corpo in buona salute si esprime poeticamente attraverso sensazioni, emozioni e movimenti . E’ un corpo creativo, capace di immaginare, di intuire, di pensare e di ricordare,  è un corpo in relazione a se stesso, agli altri e all’ambiente che lo circonda. Un corpo sano è  un “corpopsiche” che danza nella vita.

La colleganza fra corpo e psiche può essere definita come una elaborazione immaginativa delle parti somatiche, dei sentimenti, e delle funzioni, cioè della vita fisica ( D. Winnicott, 1971).

 Il corpo vive con passione le esperienze della vita; passione che, affiancata dalla disciplina della mente utile alla conoscenza delle cose, genera una profonda saggezza che collega il corpo e lo spirito nell’anima ( Marion Woodman, analista junghiana, 1996).

Utilizzando il corpo come via di accesso all’immaginazione è  possibile scoprire le esperienze che fungono da ponte fra l’ambito corporeo e quello psichico ( Joan Chodorow, analista junghiana e danza-movimento terapeuta, 1991).

Ri-contattando il nostro corpo ci colleghiamo non solo alle nostre esperienze personali, ma anche ad un ambito più archetipico di movimenti, immagini ed emozioni che ci fa sentire meno soli e che accresce il nostro senso di comunanza con il mondo.

L’atto di respirare rappresenta la nostra prima danza col mondo, una coreografia fatta di inspirazioni in cui prendiamo dentro qualcosa di buono allargando la nostra forma corporea nello spazio, e di espirazioni in cui portiamo fuori di noi ciò che non ci serve o che rifiutiamo, ritraendoci dall’ambiente per tornare maggiormente a noi stessi.

 Respirando, la nostra psiche attraversa ed anima il nostro corpo dando forma alle sue molteplici espressioni. Nel respiro, corpo e psiche confluiscono a formare un’unica essenza, al contempo materica ed inafferrabile.

Un corpo privo di movimenti, sensazioni, emozioni, immagini, intuizioni e pensieri è un corpo inanimato, più simile ad una macchina che non ad un essere umano, che non sente di essere nel mondo.

Rianimare il nostro corpo ci permette di entrare consapevolmente nel flusso della vita.

Corpo e malattia psicosomatica

 

Il comportamento inconscio del corpo è anche alla base del processo che è alle origini delle cosiddette malattie psicosomatiche, in cui il corpo dice ciò che la parola non sa dire proprio perché viene a mancare la consapevolezza del problema psichico che sottende il sintomo fisico.

A tale proposito lo psicoanalista Wilhelm Reich sostiene addirittura che un’esperienza psichica possa provocare uno stato di agitazione corporea tale da alterare in modo duraturo un organo.

La mancata consapevolezza del significato del sintomo fisico rivela  una  mancanza di collegamento fra corpo e psiche, che rappresenta il nucleo problematico di molti disagi psichici, come ad esempio nell’anoressia e nella  bulimia, nelle varie forme di nevrosi e anche nelle psicosi.

Il sintomo somatico è l’espressione simbolica di un impulso affettivo e intellettivo inconscio.

Se diciamo o pensiamo una cosa e poi ne facciamo un’altra, se non riusciamo più ad ascoltare i nostri bisogni più profondi e impulsi, si viene a creare in noi un conflitto interno, una situazione di squilibrio e di disarmonia, si attiva una sorta di lotta con noi stessi.

Può capitare di sentire il proprio corpo come un estraneo, di muoverci con fare inanimato, come se i nostri sensi si fossero spenti e con essi la nostra vitalità, come ad esempio nella depressione.

Il corpo e le emozioni sono  assai strettamente collegati. Le “e-mozioni” sono infatti “organi del movimento del corpo”(B. Snell,1946), sono “innervate” nel corpo ( Chodorow, 1991).

Il Sé come unità psicosomatica

 

Nella cultura occidentale il corpo è spesso relegato al ruolo di efficiente strumento per fare le cose, produrre , raggiungere obiettivi utilitaristici. L’importante aspetto dell’essere, del sentire e dell’immaginare, più noto alla cultura orientale, è spesso gravemente sottovalutato.

Nella primissima infanzia, noi siamo più che mai il nostro corpo ,che è la nostra unica” parola” e tutte le nostre esperienze sono esperite a livello psicomotorio. Nei primi anni di vita i fenomeni corporei sono in stretta colleganza con gli eventi psichici e rappresentano le principali  vie espressive, difensive e di scarica degli impulsi , prima che il linguaggio verbale li sostituisca. Viviamo sin dall’inizio in relazione ad altri corpi nella nostra danza evolutiva da uno stato di fusione e dipendenza ad uno di separatezza ed autonomia. Fin da piccoli siamo esposti alle richieste altrui, elogiati per alcune nostre espressioni gradite all’altro e repressi o rifiutati per quelle considerate sgradite e non opportune.

Molto spesso il nostro Sé, inteso come unità corpo-psiche, non viene visto ed accettato integralmente per quello che è, non viene rispecchiato nella sua meravigliosa moltitudine. All’inizio sono nostra madre e le figure significative nella vita di ciascuno di noi a renderci consapevoli del valore comunicativo dei nostri gesti, ad aiutarci a dare significato al nostro comportamento . Se però alcune nostre espressioni non vengono valorizzate e rispecchiate, ci adattiamo alla situazione imparando a reprimere alcuni nostri atteggiamenti autentici, o a modificarli, o a nasconderli dentro di noi dietro una sorta di “maschera corporea”, a renderli invisibili o scissi.

In quest’ottica la malattia psichica può essere vista come l’organizzazione di una difesa contro la minaccia della perdita di un senso di sè più autentico, che si riflette nell’unità psicosomatica del nostro essere.

Come nel famoso quadro di Munch “Il grido”, il nostro corpo ci  chiede disperatamente di essere visto e ascoltato nella sua preziosa interezza, chiede che venga da noi compreso il significato dei suoi simboli.

Essere in buona salute significa intraprendere un percorso di individuazione del proprio Sé psicosomatico, impegnarsi a “salvare” il proprio nucleo autentico, la sorgente della propria creatività, che coinvolge necessariamente il corpo e le sue sensazioni ( P. Bourgeois,1981).

Psiche e soma, anima e corpo: percorsi di scissione ed integrazione in Occidente

I termini “psiche” e “soma”, a partire dal V secolo a.C., assumono per l’Occidente il significato rispettivamente di “anima” e “corpo”, ma è interessante notare che per il grande poeta greco Omero la parola “soma” indica soltanto un corpo senza vita, un cadavere e non un corpo vivente. D’altro canto, sempre per Omero, la parola “psiche” è talmente collegata al corpo da  significare “respiro”, ossia qualcosa di fortemente fisico in sé.

Successivamente Platone introdurrà la differenziazione fra anima e corpo con la sua concezione della psiche quale rappresentante della coscienza di sé che, amante del pensare, inizia a separarsi dal suo aspetto corporeo, che vive piuttosto come limite. E’ come se la psiche acquisisse con Platone  qualità “apollinee” quali una tendenza all’ordine, alla luce e verso l’alto

( il cielo), mentre il corpo si appropriasse di qualità “dionisiache”, come il caos, il buio e la tendenza verso il basso (la terra).

Il filosofo Aristotele ,invece, concepisce l’anima in termini più “biologici”, nel senso della sua appartenenza alla vita, e dunque come “qualcosa”del  corpo .

Comunque l’Occidente seguirà fondamentalmente la via tracciata da Platone, che verrà peraltro sostenuta fortemente anche dal Cristianesimo, in cui  non solo corpo e psiche saranno sempre più differenziati, separati, stranieri l’uno all’altro, ma alla psiche sarà attribuito un valore ben più alto che al corpo. L’importanza dell’aspetto corporeo del vissuto soggettivo, comprendente istinti, sensazioni corporee e emozioni, e sarà sempre più svalorizzato e relegato, anche da successivi pensatori come Cartesio e Kant, in una sorta di  sgabuzzino buio e chiuso bene a chiave.

In seguito Nietzsche  (1883), e molto più tardi Merleau-Ponty ( 1945-49), rivaluteranno il ruolo della connessione corpo-anima e la preziosità del corpo come centro del nostro essere. “Corpo io sono e anima- così parla il fanciullo. E perché non si dovrebbe parlare con i fanciulli? Ma il risvegliato e sapiente dice: corpo io sono in tutto e per tutto, e null’altro; e anima non è altro che una parola per indicare qualcosa del corpo….Dietro i tuoi pensieri e sentimenti, fratello, sta un possente sovrano, un saggio ignoto- che si chiama Sé: abita nel tuo corpo, è il tuo corpo. Vi è più ragione nel tuo corpo che nella tua migliore saggezza”

 ( Nietzsche,1883) .

Merleau- Ponty affermerà che il corpo è anima in ogni sua parte poiché la psiche si identifica con la soggettività corporea, quale“ involucro vivente delle nostre azioni” in cui colui che esprime e ciò che viene espresso sono una cosa sola.

Infine, mi pare interessante notare come, dal punto di vista della terminologia, oltre alla dicotomia corpo-psiche sia fortemente presente, specie in Occidente, la dicotomia mente-psiche.

 

 

 

L’emergere dell’individualità dalle radici del corpo:

alcuni itinerari delle teorie psicoanalitiche sull’origine dell’unità psicosomatica e sulla relazione fra corpo e psiche, e fra corpo e mente

 

Nel lavoro psicoanalitico classico, in cui la parola fa da padrona, il vissuto del corpo sembra ricoprire un ruolo quantomeno di secondo piano. Ma la storia della psicoanalisi ha in realtà origine all’insegna del corpo che parla.

 Freud innanzitutto, con la sua attenzione per i fenomeni isterici,  offre una possibile comprensione della cura di un disagio che trova nelle funzioni somatiche inconsce il luogo in cui si esprimono simbolicamente, attraverso il corpo appunto, i conflitti psichici.

Diversi studiosi, nel tempo, hanno seguito queste orme ed hanno nutrito un particolare interesse per l’aspetto psicosomatico del Sé. In questo scritto verranno approfondite , rispetto a questo tema, le teorie di Margaret Mahler, di Donald D. Winnicott, e di Daniel Stern .

Altri autori recentemente si sono avviati verso questa esplorazione. Il medico e psicoanalista Eugenio Gaddini (1980), sostiene che “la psicoanalisi considera il corpo sotto l’aspetto di un continuum funzionale, l’elemento chiave del quale rimane quello di un processo, nella differenziazione della funzione mentale, la cui direzione è dal corpo alla mente, ma che la psicoanalisi studia nella direzione dalla mente al corpo” (Camposampiero,1988). Sempre Gaddini sostiene inoltre che anche la funzione della fantasia si sviluppa a partire dalle esperienze del corpo.

L’Io, il centro e il mediatore della realtà conscia ,emerge dal corpo e , secondo la teoria psicodinamica, possiede un “ Io corporeo” come prototipo.

Recentemente, lo stesso Damasio (1994), sostiene che la psicoterapia, in fondo, è un processo di riconciliazione dell’inconscio con il conscio e che il corpo può essere visto come il rappresentante dell’inconscio, dunque il suo ascolto e la sua “parola”, sono da considerarsi fondamentali nel processo di cura.

Molti autori concordano che lo sviluppo dal corpo alla psiche, che prevede un’acquisizione mentale del sé corporeo, abbia inizio con l’emergere dal corpo di una interiorizzazione della funzionalità della diade madre-bambino.

“L’Io è innanzitutto e soprattutto un Io corporeo” (S. Freud )

“L’Io è innanzitutto e soprattutto un Io corporeo perché deriva, in ultima analisi, da sensazioni corporee, principalmente da quelle che scaturiscono dalla superficie del corpo”.

Innanzitutto occorre considerare che Freud si trova ad operare nel XIX° secolo, periodo in cui si stavano ottenendo risultati importanti in ambito scientifico, specie nell’area della fisiologia. La medicina tradizionale si occupava del corpo, mentre della psiche si occupavano  i filosofi e questa divisione degli ambiti non faceva che contribuire ad aumentare la dicotomia corpo-psiche.

Freud si occupò del rapporto fra psichico e somatico già nel 1890, riconoscendo che gli stati psichici si rendono manifesti attraverso il flusso del movimento, che può essere tenuto nella tensione muscolare o libero nel rilassamento, nelle posture, nelle espressioni del viso ecc. Scrive Freud:

” gli affetti ….sono caratterizzati da un rapporto del tutto particolare con i processi somatici,  a rigore tutti gli stati psichici, anche quelli che siamo abituati a chiamare “processi di pensiero”, sono in certa misura “affettivi”, e non uno di essi è privo di espressioni somatiche e della capacità di modificare i processi somatici.” (1890).

Insomma Freud, pur non avendo elaborato una tecnica di integrazione delle espressioni e comunicazioni non verbali del paziente alla sua teoria psicoanalitica, aveva colto l’ importanza delle “pulsioni di cui siamo dotati nella nostra costituzione fisica” ( 1932) e  dell’osservazione del corpo del paziente durante la terapia.

Le pulsioni saranno definite da Freud nel 1938 come “ forze che supponiamo star dietro le tensioni dovute ai bisogni. Esse rappresentano le richieste corporee avanzate dalla vita psichica”.

E’ ancora Freud a scrivere che “in certi stati psichici chiamati affetti, la partecipazione del corpo è così evidente e intensa che gli affetti… sono caratterizzati da un rapporto del tutto particolare con i processi somatici…”.

A partire dalla radice freudiana, si sono sviluppate molte scuole di pensiero in ambito psicoanalitco, ma non sono molti gli studiosi che si sono incentrati sulle origini della relazione corpo-psiche.

 

“All’inizio c’è un corpo, poi una psiche” (D.W.Winnicott)

 

Donald W. Winnicott è l’analista che, partendo dalla sua professione di pediatra, ha contribuito maggiormente sul piano teorico a costruire le fondamenta per una più profonda integrazione del livello somatico all’interno della psicoanalisi.

“All’inizio c’è un corpo, poi una psiche che in condizioni di salute si ancora gradualmente al corpo; prima o poi appare un terzo fenomeno chiamato intelletto o mente””(Winnicott,1958 ).

Afferma  ancora Winnicott: “La prima condizione per lo sviluppo della psiche è il soma, e anche dal punto di vista dell’evoluzione il soma è venuto prima. La psiche ha inizio come elaborazione immaginativa del funzionamento fisico e il suo compito più importante è il tenere insieme esperienze passate e potenzialità, consapevolezza del presente e aspettativa del futuro…Quando un bambino disegna un cerchio come autoritratto, non c’è differenziazione fra corpo e psiche”.

Per Winnicott, quello che da Freud è stato indicato come Io corporeo è, all’origine, il Sé, ed inoltre egli sottolinea la distinzione fra psiche e mente, definendo quest’ultima come un “ caso particolare del funzionamento dello psiche-soma…che sorge sul confine del funzionamento psicosomatico”. La mente, per quest’autore, è da considerarsi come una parte della psiche” non necessariamente legata al corpo, anche se naturalmente dipendente dal funzionamento cerebrale”.

Questo autore, appassionato dello studio della natura umana, mette in evidenza l’interazione fra soma e psiche ed approfondisce le sue ricerche su questa interconnessione, considerata come una conquista graduale che scaturisce dal mantenimento dello stato di salute dell’individuo, garantito da un “ambiente facilitante”.

Per Winnicott lo sviluppo emozionale si intreccia con quello corporeo ed è per questo che nel lavoro psicoanalitico con soggetti nevrotici l’origine dei sintomi riscontrabili è riconducibile al periodo di stress vissuto dal bambino di due-cinque anni in cui è attiva una elaborazione immaginativa del funzionamento corporeo, che naturalmente dipende da un sano funzionamento del cervello.  “La fantasia più vicina al funzionamento corporeo dipende dal funzionamento di quella parte del cervello che è evolutivamente più antica, mentre l’autocoscienza  dipende dalla funzione di ciò che è apparso più tardi nel corso dell’evoluzione dell’animale umano. La psiche, perciò, trova una fondamentale unità col corpo, sia tramite il suo rapporto  con la funzione dei tessuti e degli organi e con il cervello, sia tramite il modo in cui si intreccia con esso attraverso nuovi rapporti che si sviluppano nella fantasia o nella mente dell’individuo, conscia o inconscia che sia”..

In particolare Winnicott parla del processo di  insediamento della psiche nel corpo come una vera e propria acquisizione in cui la pelle e la percezione tattile assumono una particolare importanza. In sostanza i confini corporei rappresentano i confini della psiche, la “pelle” è l’involucro della psiche. Ed il contenimento materno, attraverso la percezione tattile materna, come una “seconda pelle” facilita l’integrazione psiche-soma. L’insediamento della psiche nel corpo si compie  attraverso il canale personale ed anche quello ambientale, infatti, grazie ad una madre “sufficientemente buona”, attenta ai bisogni del bambino, questi diventerà gradualmente capace di accudire se stesso.

Anche il medico Paul Schilder (1935), altro autore che ha approfondito la connessione psiche-soma con un ottica psicoanalitica, sostiene che non vi sia esperienza psichica che non si rifletta nella motilità, sottolineando l’interazione originaria fra funzioni motorie e psichiche; e che l’immagine corporea ( come pensiamo, immaginiamo il nostro corpo ) sia una costruzione che necessita  dell’investimento da parte delle figure di riferimento (Camposampiero,1988).

La formazione dell’immagine corporea si forma e si modifica attraverso la relazione con la madre e col mondo che si vive attraverso il proprio corpo.

Schilder sottolinea l’importanza  dell’investimento libidico verso il proprio corpo e come il delicato lavoro di elaborazione dei fenomeni corporei richieda, come detto , un forte ancoraggio alla relazione coi genitori.

E’ ancora Schilder a sostenere che il sentire il proprio corpo, ovvero la propriocezione, non sia affatto un’esperienza scontata, ma una vera conquista, frutto dell’amore del genitore nei confronti del figlio e di questi verso di sé.

Infine, per la formazione di una sana immagine corporea , che corrisponda all’immagine di sé, assume grande rilievo l’atteggiamento che la madre e il padre assumono nei confronti del corpo del bambino , così pure come del proprio.

Riprendendo la riflessione sull’operato di Winnicott, ricordiamo le tre funzioni implicite, per l’autore, nel ruolo materno: l’”handling” ( che ha a che fare con il tenere in mano il bambino, l’atto di “manipolarlo”), l’”holding” ( che ha a che fare con la possibilità di fungere da contenitore), e l’”object presenting” ( che ha a che fare con la presentazione dell’oggetto), funzioni strettamente attinenti al senso del tatto e a quello cinestesico.

Dice Winnicott che “mentre l’uso dei processi intellettuali sottrae qualcosa al raggiungimento della coesistenza fra psiche e soma, l’esperienza delle funzioni, delle sensazioni epidermiche e dell’erotismo muscolare aiuta a raggiungere  questo obiettivo” .

Una buona integrazione delle funzioni percettive, motorie e psichiche, funge da radice per un sano sviluppo del Sé. Nel caso di un armonico sviluppo, il corpo vive i suoi limiti fra il suo interno e l’esterno e si percepisce quale nucleo del sé psichico.

Per Winnicott, il fallimento nell’integrazione psiche-soma dell’individuo dà origine ad una personalità da lui denominata “falso Sé”, che può facilmente utilizzare un pensiero sradicato dal suo rapporto con il corpo, con le sue funzioni e con gli istinti (Camposampiero,1988).

Con l’assunzione del “falso Sé” il soggetto non giunge ad una reale unità psicosomatica ed il suo senso di autenticità risulta compromesso.

Infine, Winnicott affronta il tema della malattia psicosomatica e del suo significato in termini di motivazione inconscia dell’individuo che ne risulti sofferente. In un suo scritto del 1964, l’autore afferma che la malattia psicosomatica ha lo scopo inconscio di “ritirare la psiche dalla mente per ricondurla al suo legame intimo con il soma”.

“La nascita biologica e la nascita psicologica non coincidono nel tempo”

 ( M. Mahler)

 

La teoria e la pratica clinica di Margaret Mahler ,che si colloca nell’ambito dell’approccio psicodinamico di matrice inglese delle “relazioni oggettuali”, si focalizza sul processo della “nascita psicologica” del bambino nell’ottica dello sviluppo del rapporto interpersonale madre-neonato.

La Mahler sostiene che “la nascita biologica del bambino e la nascita psicologica dell’individuo non coincidano nel tempo. La prima è un evento drammatico, osservabile e ben circoscritto, la seconda un processo intrapsichico che si svolge lentamente”(1975).

La studiosa inglese definisce le tappe di questo percorso di “separazione-individuazione”: esso ha inizio con una fase da lei denomonata di “autismo normale”, alla quale seguono le tappe della “ simbiosi normale”, della differenziazione, della sperimentazione, del riavvicinamento ed ,infine, della costanza oggettuale.

Come accennato, questa prospettiva mette in evidenza come la nascita dell’individualità intesa come corpo psichico, sia strettamente correlata alla relazione madre-bambino.

In particolare, la Mahler sostiene che “ é dalla fase simbiotica dell’unità duale madre-figlio che derivano i precursori di esperienza degli inizi della individualità, che , insieme a fattori costituzionali innati, determinano il carattere somatico e psicologico unico di ciascun individuo umano”

( 1963).

La Mahler mette in rilievo l’importanza degli atteggiamenti consci e inconsci dei genitori nel plasmare la psiche del bambino, specie durante la fase della simbiosi.

Dopo il primo periodo di autismo normale, in cui il neonato è a contatto col suo mondo interno e assopito nei confronti di quello esterno e in cui le sensazioni sono di natura propriocettiva, a tre, quattro settimane il bambino è più attento a ciò che accade alla periferia del suo corpo e fuori di lui.

Il suo maggiore investimento in questo periodo è rivolto a quella zona di confine che può essere rappresentata dalla pelle sua e della madre o di chi lo accudisce. Per il neonato non c’è ancora una netta  differenziazione fra sé e l’altro, come pure fra psiche e soma. E’ in questa fase, associabile al campo di relazione del “Sé emergente” cui fa riferimento lo psicoanalista  Daniel Stern (1985 ) che, secondo la Mahler, ha senso parlare di sviluppo dell’apparato psichico del bambino (Grenberg,Mitchell,1983).

Per la studiosa inglese, la madre ottimale è capace sia di essere presente al suo bambino con una sana dose di  preoccupazione, sia di abbandonarla quando necessario.

Per autori come Winnicott, Mahler e Stern, la madre ha la fondamentale funzione di regolare e plasmare il Sé del neonato. Fin dalle prime settimane di vita il genitore regola le esperienze dello stato somatico del neonato, sintonizzandosi con queste sensorialmente e affettivamente e iniziando così a dare forma alla sua psiche. L’Io rudimentale del bambino diventa così gradualmente funzionante grazie al rapporto di cura da parte della madre che lo tiene in braccio, che è in contatto epidermico con lui , che si sintonizza con le sue sensazioni cinestesiche.

 

 

Ritmi motori , ritmi  psichici (J. Kestenberg)

 

Collegandosi alle teorie psicoanalitiche della Mahler e di Anna Freud, la psicoanalista e neuropsichiatra americana Judith Kestenberg ( 1975),  ha studiato a fondo la natura  ed il comportamento non verbale nelle diverse fasi evolutive della vita del bambino, integrando anche approfondimenti redatti dal danzatore e analista del movimento Rudolf Laban ( 1950) e dalla fisioterapista Irmgard Bartenieff.

Anche il  suo lavoro  dimostra l’importante relazione fra le funzioni motorie e quelle psichiche, in particolare fra specifici schemi e ritmi motori, che hanno inizio fin dalla nascita, e che accompagnano particolari tappe dello sviluppo psicologico del bambino.

Kestenberg considera infatti gli schemi motori di base quali modalità comunicative essenziali influenzate dal parallelo sviluppo delle funzioni psichiche.

Ad esempio la studiosa, osservando il flusso della forma corporea presente sin dalla nascita, che si allarga e si restringe, si allunga e si accorcia, protrude e si ritrae, incavandosi, dall’ambiente , sostiene che questo movimento ritmato rappresenti  un sistema di autoregolazione primario del sé.

Il ritmo del flusso della forma organizza la relazione fra le parti del corpo così che gli impulsi possano trovare la loro scarica in relazione all’oggetto.

Il flusso della forma fa riferimento alla plasticità dei tessuti e plasma le reazioni motorie verso stimoli piacevoli e spiacevoli. Esso, nella sua alternanza fra il crescere ed il decrescere, si accompagna al ritmo respiratorio innato della inspirazione ed espirazione.

I ritmi motori/psichici classificati dalla Kestenberg nelle varie fasi evolutive del bambino sono:

–         fase orale/ ritmo succhiare-mordere ( la zona primaria di scarico delle tensioni è la bocca),

–         fase  anale/ torcersi-sforzarsi ( zona di scarico:sfintere anale),

–         fase uretrale/ritmi del camminare o correre-cominciare o fermarsi

 ( zona di scarico: vescica/uretra),

–         fase genitali interni/ piccoli ritmi ondulatori-oscillazioni ad alta intensità,

–         fase genitali esterni o fallica/salti –balzi nell’ambiente ( zona di scarico: genitale).

Gli studi della Kestenberg sono interessanti anche perché si focalizzano sui ritmi motori e considerano l’origine del ritmo nell’inconscio, che può essere sempre a disposizione a livello preverbale o in un soggetto regredito.

La Kestenberg afferma che i ritmi sopra descritti “ sono al servizio del soddisfacimento di bisogni come succhiare, defecare, urinare. Con l’inizio del funzionamento psichico l’apparato del flusso della tensione viene usato per la scarica degli impulsi in modo tale che impulsi orali, anali, uretrali e genitali trovino la propria espressione in appropriati ritmi motori”.

In ciascuna fase all’interno della linea evolutiva delineata, il mondo oggettuale può naturalmente  avere un effetto positivo o contrastare un apprendimento e un’integrazione sani.

All’inizio, ad esempio, sarà infatti l’accordarsi della madre con il ritmo di suzione del bambino, riflettendolo, sintonizzandosi, accordandosi con esso, che aiuterà il suo piccolo nell’organizzazione del deglutire ,lasciar entrare, sentirsi sazio.

Se la madre impone un ritmo diverso o se si scontra con il bisogno del bambino di organizzare il proprio ritmo orale, allora il figlio avrà difficoltà ad integrare la prima fase evolutiva, che è in relazione con la capacità del soggetto di nutrire fiducia nell’altro e nel mondo, di sentirsi riempito da un senso di sé e di benessere .

L’importanza della sintonizzazione cinestesica ( D. Stern)

A proposito dell’evento della nutrizione, Stern, afferma che l’enorme importanza di questo processo vitale deriva dal fatto che esso “ mette in gioco e contemporaneamente assomma a sé tante diverse forme di regolazione del Sé”(1985).

Questo caratteristico stato di “fusione somatopsichica” (Mahler, 1975 ) in cui la funzione empatica della madre assume un ruolo fondamentale è la pietra miliare su cui si basa una sana connessione psiche-soma.

Secondo Stern l’empatia, pur prevedendo una sintonizzazione con le espressioni somatiche del neonato, richiede la mediazione dei processi cognitivi. In un certo senso potremmo dire che il genitore accoglie con il suo corpo  il bisogno del bambino e lo elabora con la sua mente al fine di facilitarne il soddisfacimento.

Ricorda Stern che, affinchè il bambino possa avere un adeguato senso di Sé, deve esserci qualche organizzazione che funga da àncora, da punto di riferimento. La prima fra queste è senz’altro il corpo, la sua unità, le sue azioni, i suoi stati interni e la memoria di tutto questo. Dice Stern che “esiste innanzitutto il Sé fisico, che viene sperimentato come entità fisica unitaria dotata di una volontà, di una vita affettiva e di una storia propria. Esso opera in genere al di fuori della consapevolezza, ed è difficilmente verbalizzabile”.

Questo autore delinea un percorso evolutivo dei differenti “sensi del Sé”, che si fondano inizialmente su modalità di conoscenza preverbali di tipo sensomotorio, basati sull’esperienza diretta del corpo, per poi integrare modalità  di relazione di tipo simbolico e verbale.

Stern ci fa notare che, nella fase preverbale in cui ha inizio il delicato processo di nascita dell’unità psicosomatica dell’individuo, nel bambino  prevale una modalità di relazione soprattutto di carattere sensoriale e  sensomotorio.

Per attivare una profonda empatia  nei confronti del figlio neonato, alla madre è richiesta una particolare sensibilità alla sintonizzazione con le modalità sensoriali e cinestesiche del suo piccolo. Le stesse categorie affettive tradizionali non sono infatti gli unici stati interni verso i quali è possibile  entrare in sintonia.

“Ci si può sintonizzare con il modo in cui un bambino afferra un giocattolo…,dà un calcio o ascolta un suono. Noi tendiamo automaticamente a tradurre qualità percettive in qualità di sentimento, specie se quelle qualità appartengono al comportamento di un’altra persona”.

E’ molto importante che il genitore sostenga la percezione integrata del Sé del bambino, per evitare a questi l’angosciosa esperienza di un’ansia insostenibile, del senso di andare a pezzi, del perdere il rapporto col proprio corpo, di perdita del senso di continuità dell’esistenza, di isolamento completo per mancanza di mezzi di comunicazione

Molto più tardi, con l’avvento del linguaggio verbale, questa sorta di esperienza amodale molto presente nel neonato può venire a spezzarsi introducendo un senso di discontinuità tra psiche e soma. E’ proprio con l’accrescimento delle funzioni della mente, pure parte integrante del sistema corpo-psiche, che può infatti svilupparsi un divario troppo grande fra la tendenza ad una  conoscenza personale del mondo e quella verso una  conoscenza più socializzata e codificata dal linguaggio.

Per quanto quest’ultimo naturalmente apra uno spazio nuovo ed importantissimo fra l’esperienza personale vissuta e quella rappresentata e svolga un ruolo fondamentale nell’espressione simbolica, una tendenza alla  scissione fra le due modalità può portare ad un allontanamento eccessivo fra realtà e fantasia, come pure  fra il corpo e la mente.

ALLA RADICE DELLA PATOLOGIA:

IL CORPO  NEI DISTURBI DEL COMPORTAMENTO ALIMENTARE     

 

                                                                                                     

Il corpo è il protagonista inconsapevole del dramma che viene rappresentato nel teatro della psiche di un individuo che soffre di disturbi del comportamento alimentare. Infatti qui il corpo esprime, a volte assai tragicamente, ciò che la mente non è in grado di comprendere. Una toccante immagine di questa tragicità ci è data  dagli scheletri anoressici dello scultore  Alberto Giacometti.

Nell’ambito dell’anoressia e della bulimia, ad esempio, il corpo si fa simbolo di vissuti di profonda sofferenza, si mostra al mondo lanciando un messaggio di richiesta di aiuto utilizzando un linguaggio primario, non codificato. L’individuo proietta sul cibo contenuti interni che non riesce ad affrontare direttamente. Il sintomo di questo stato di disagio si esprime somaticamente in modo inconscio, poiché l’individuo non è in grado di portare alla coscienza,  di simbolizzare coscientemente in altri modi, tramite il linguaggio o altri codici comunicativi condivisibili,  ciò che esso sottende.

Il complesso alimentare inizia con ciò che sembra essere un problema relativo al peso corporeo proprio perché qui il conflitto, non essendo cosciente, assume la forma psicosomatica . D’altronde  il corpo può essere considerato l’inconscio nella sua forma più immediata . Questo tipo di disturbo rivela spesso una lotta dell’individuo fra la sua realtà interiore e quella esterna, fra il suo aspetto femminile e quello maschile, fra l’essere e il fare e fra la coscienza e l’inconscio. ( M. Woodman, 1982).

Disturbo del comportamento alimentare come disturbo dell’integrazione psiche-soma e dell’autoconsapevolezza corporea

 

I disturbi del comportamento alimentare, che coinvolgono principalmente ragazze e giovani donne, hanno sovente origine nella prima infanzia, nel periodo preverbale. Abbiamo visto come la nutrizione sia una componente essenziale nella creazione dello psicosoma, intendendo per questa tutto il combustibile fisico e psicologico che si assume e digerisce per provvedere alla propria crescita ( K. Dychwald,1978).

Insomma la fame è un’esperienza innata, ma anche un’esperienza psicologica, che si collega a momenti piacevoli o spiacevoli della vita di un bambino. Se lo sviluppo procede bene, il bambino impara a identificare le sue sensazioni e i suoi bisogni fisici, come la fame, e a soddisfarli in modo appropriato. Ma se le necessità innate non sono in armonia con le risposte dell’ambiente, se le figure di accudimento non sono sintonizzate con i suoi bisogni, ne risulterà una confusione, un senso di profonda incertezza nell’identificazione dei propri impulsi e delle proprie sensazioni, come pure dei  propri  originali pensieri e sentimenti.

In questa ottica possiamo concepire il disturbo del comportamento alimentare come un disturbo dell’integrazione degli ambiti corporeo e psichico, una mancanza del senso di questa unità , uno sviluppo non completo del Sé.

L’unità psicosomatica originaria genera lo sviluppo dell’immagine corporea , che  corrisponde all’esperienza psicologica  incentrata sulle emozioni e attitudini verso il proprio corpo, come immagine corrispondente a Sé, comprendente innanzitutto la propriocezione e la possibilità di ascoltare e distinguere le proprie sensazioni corporee interne, fra cui la fame.

. Spesso, specie nell’anoressia , nella bulimia o nell’obesità, l’individuo ha una sensazione distorta della propria immagine corporea (H. Bruch,1973), o prova un senso di insoddisfazione profonda verso il proprio corpo, che  percepisce come alienato da sé e che tratta come un oggetto poiché non sente di “essere il proprio corpo” ( Selvini Palazzoli, 1963).

Il disturbo del comportamento alimentare registra dunque un difetto dell’autoconsapevolezza  (Bruch, 1973), a cominciare proprio dall’ambito fisico, che è quello più visibilmente coinvolto in questa forma di disagio. Dal momento che la prima consapevolezza riguarda il Sé corporeo ( Freud, 1922 ),  un lavoro profondo con il corpo può risultare particolarmente utile nel trattamento di questo tipo di disturbo.

 

L’atteggiamento corporeo quale espressione di sé nei disturbi dell’alimentazione: la difficoltà di muoversi “autenticamente” e la relazione con il proprio peso associato al senso di sé

 

Osservazioni condotte durante trattamenti a mezzo danza-movimento terapia riportano che questi individui non sono in grado di muoversi “autenticamente”, contattando cioè un impulso interno (fisico, emotivo, immaginativo).

Inoltre gli individui con disturbi dell’alimentazione presentano un particolare rapporto con il proprio peso: nell’anoressia il corpo si muove con estrema leggerezza, è etereo, fragile, come inconsistente, trasparente, tendente al “volo”, continuamente in lotta con la forza di gravità e inoltre spesso è prevalente una certa iperattività motoria e cognitiva, sostenuta dalla negazione di un corpo che sente ( B. Brusset ). Nella bulimia , al contrario, il corpo appare come ancorato a terra e spesso il suo peso ha una qualità fondamentalmente passiva ,ed  è come trascinato nello spazio.

E’ interessante notare come, nella danza-movimento terapia a orientamento psicodinamico ,l’elemento del peso sia associato, evolutivamente, al periodo in cui il bambino piccolo conquista gradualmente il piano verticale per venire in piedi e poi, successivamente, avventurarsi nello spazio con la camminata.

Secondo questo schema di riferimento (Laban , 1960; Kestenberg, 1974)  la padronanza del proprio peso, ovvero la possibilità fisica di muoversi attivamente ed intenzionalmente con leggerezza o forza sul piano verticale, si collega al compito evolutivo dell’acquisizione del senso dell’”Io sono”, all’inizio dell’affermazione di un senso della propria identità e alla capacità di presentazione di sé agli altri.

Il fatto di potersi reggere sulle proprie gambe segna anche l’inizio di una più grande autonomia nei confronti delle figure di accudimento del bambino. Il raggiungimento di un senso di identità separata con la consapevolezza del dominio delle proprie funzioni, specie nell’adolescenza (H. Bruch, 1973), è estremamente importante negli individui affetti da disturbi dell’alimentazione. Tipicamente, essi soffrono di un deficit nel sentirsi separati dai genitori, specie dalla madre ( Bruch, 1973) per ciò che riguarda le bambine, le ragazze e le donne. Questa, solitamente, non è in rapporto con il suo principio femminile e dunque non è in grado di trasmettere alla propria figlia la fiducia nel proprio corpo e nell’essere se stessa. (  Woodman,1982).

L’APPROCCIO PSICOCORPOREO A CARATTERE ESPERIENZIALE NEL LAVORO TERAPEUTICO

 

Il lavoro terapeutico basato su un approccio psicocorporeo

Il corpo si mantiene in buona salute se lo ascoltiamo e gli permettiamo di esprimersi, di parlare e di creare.

Per sviluppare lo stato di salute dell’individuo, così come per affrontare eventuali disagi psichici ,è molto utile dunque un lavoro di sostegno, riabilitativo o terapeutico basato su un approccio psicocorporeo. Ad esempio, nella danza movimento terapia ad indirizzo psicodinamico l’obiettivo principale è sviluppare la consapevolezza corporea ed il collegamento corpo-psiche. All’interno di questo tipo di trattamento, è possibile utilizzare una particolare  modalità di lavoro chiamata “Movimento autentico”, originariamente “Movimento nel profondo” ( dalla sua ideatrice Mary Whitehouse, 1950 circa),con persone che hanno un Io sufficientemente forte e coeso (dunque, in ambito di nevrosi). Qui l’attenzione viene portata sulle sensazioni o impulsi corporei, sulle immagini, le emozioni, ai quali si permette di prendere forma attraverso il movimento spontaneo. Chi si muove tiene gli occhi chiusi, alla presenza del testimone-terapeuta, il cui compito è di contenere l’esperienza dell’altro. Il lavoro, che trae origine dal processo junghiano di immaginazione attiva, è integrato successivamente da una elaborazione verbale dell’esperienza.

L’osservazione e l’interpretazione del linguaggio corporeo: la chiave di lettura della Danza Movimento Terapia ad indirizzo psicodinamico

 Il nostro corpo, se ascoltato, può diventare il nostro più fedele e saggio compagno di vita. Noi siamo il nostro corpo, qui è scolpita, dipinta e scritta la nostra vita, qui sono riposti i nostri ricordi più profondi ed i semi del nostro futuro.

Nella danza movimento terapia ad approccio psicodinamico, le qualità utilizzate dal corpo sono studiate e codificate per l’osservazione e l’interpretazione attraverso la “ Laban Movement Analysis”, una griglia messa a punto da Rudolf  Laban, ( 1887-1958, ), danzatore e coreografo  e scrupoloso studioso dell’arte del movimento . Le sue ricerche sono state nel tempo integrate dal lavoro della psicoanalista Judith Kestenberg (1974) che ha offerto un prezioso contributo alla lettura degli aspetti motori nello sviluppo del bambino fino all’adolescenza, basandosi sulle teorie psicologiche di Anna Freud ( 1965) e di Margaret Malher (1978). Attraverso questi schemi di riferimento appare chiaro come tutto ciò che vediamo in termini di movimento e di relazione attraverso di esso, sia strettamente collegato agli atteggiamenti interni, che hanno a che fare con il livello di maturazione  psicologica dell’individuo.

Proprio utilizzando la terminologia Laban ( 1960) di base , potremmo dire che noi/il nostro corpo siamo tesi o rilassati, aperti o chiusi, grandi o piccoli, veloci o lenti, forti o leggeri, indulgenti o combattivi, accoglienti o respingenti, in movimento o immobili.

Quando siamo in buona salute siamo in contatto con tutte queste polarità anche se, per temperamento, alcune qualità ci apparterranno di più  e altre meno.

Il nostro corpo riflette la nostra personalità e si esprime continuamente, che ci accorgiamo o meno.

Si dice infatti che “il corpo non mente”, proprio perché molto spesso le posture, gli sguardi, gli atteggiamenti corporei che riflettono attitudini interne, la qualità del nostro respiro , a differenza del linguaggio verbale, si rivelano spontaneamente, senza la partecipazione della nostra volontà.

L’importanza di un lavoro corporeo profondo

Nel lavoro corporeo profondo della danza-movimento terapia ad approccio psicodinamico, l’individuo è accolto inizialmente senza particolare attenzione  al disturbo specifico, ma piuttosto alla sua totalità di essere psichico e corporeo.

In uno spazio libero e protetto e basato sulla fiducia reciproca in cui non c’è un modo giusto o sbagliato di esprimersi, gradualmente è possibile avviare un lavoro di ascolto delle proprie sensazioni corporee , come ad esempio il respiro, oppure lo stato di tensione e di rilassamento.

Il lavoro sulla consapevolezza delle sensazioni interne costituisce una base fondamentale per la costruzione di una sana immagine corporea dove il Sé fisico diventa un centro, un punto di riferimento, il contenitore del Sé emotivo ( Krueger and Schofield, 1986 ). Occorre gradualmente suscitare un investimento positivo e  un atteggiamento amorevole dell’Io verso il proprio corpo, così che il nutrimento del corpo diventi un interesse che coinvolga l’individuo nella sua totalità. ( Woodman, 1982).

Anche un percorso di sviluppo di un senso di integrazione corporea, che comprende le principali connessioni come ,ad esempio, il ritmo del respiro, il centro e la periferia , il collegamento fra la testa e la “coda”, fra la parte superiore e quella inferiore, fra il lato destro e quello sinistro, è estremamente utile per favorire una relazione più viva , efficace e consapevole con il proprio corpo ( P. Hackney, 2002 e I. Bartenieff,1980).

Attraverso un lavoro di danza-movimento terapia l’individuo può intraprendere un percorso di “alfabetizzazione” corporea come primo passo verso una “alfabetizzazione emotiva ed immaginativa”. Coinvolgendo  il corpo, esso viene ri-posseduto, ri-abitato, sentito come più vivo, reale, unico e creativo.

 Spesso, ad esempio, il corpo di individui che soffrono di disturbi dell’alimentazione appare infatti poco animato, con una gamma espressiva molto ristretta, associabile all’immagine di un corpo- prigione.  Questo modo di vivere il proprio corpo corrisponde frequentemente all’atteggiamento interno del sentirsi vuoti, impotenti e tiranni , annoiati  e bloccati nella vita.

 

Una prospettiva junghiana: l’immaginazione attiva attraverso il “Movimento Autentico”

 

Il “Movimento Autentico” rappresenta una modalità terapeutica  particolare utilizzata nella Danza Movimento Terapia ad indirizzo psicodinamico ed anche una pratica di crescita personale e spirituale.

Questa “disciplina” affonda le sue radici nell’orientamento junghiano e si è sviluppata a partire dai primi anni Sessanta negli Stati Uniti d’America.

La danzaterapeuta Mary Stark Whitehouse ha messo a punto questo approccio unificando processi di Danza Movimento Terapia con aspetti della psicologia del profondo.

Come Jung mette in luce che nell’esperienza dell’immaginazione attiva solitamente qualcosa di imprevisto emerge dall’inconscio e viene a patti con la coscienza attivando la “funzione trascendente”, così la Whitehouse ritrova un parallelismo fra l’esperienza di “muoversi” e quella di “lasciarsi muovere o essere mossi”.

“Io mi muovo” è un’esperienza guidata dalla coscienza, “io mi lascio muovere”, è un’esperienza guidata dall’inconscio, dall’”Altro” dentro di noi.

Uno degli obiettivi primari del Movimento Autentico è dunque favorire il processo di individuazione, attraverso un dialogo creativo fra corpo e psiche.

Il cuore della pratica, come detto rivolta a persone con un Io sufficientemente forte,risiede nella relazione feconda fra il paziente che si muove ad occhi chiusi ( o socchiusi se il movimento è ampio o veloce) ed il terapeuta che funge da testimone.

Il paziente è invitato all’ascolto del proprio corpo ( escludendo la vista si facilita la focalizzazione corporea, si affina il senso cinestesico e si sviluppa la presenza del proprio testimone interno ) ed a seguire eventuali impulsi al movimento o all’immobilità.

A volte succede che la coscienza, con il suo atteggiamento troppo spesso giudicante, o idealizzante o svalutativo) opponga resistenza all’inizio dell’esperienza corporea, non tollerando che il linguaggio silenzioso del corpo si riveli.

Con la pratica ,si può passare gradualmente da una sorta di coscienza mentale ad una coscienza sensibile, corporea ( Dov’è il mio corpo ora? Che forma assume? Come è il mio respiro? Come sento il mio corpo? Quali sensazioni avverto? ecc.).

In una successiva fase del lavoro può accadere di cogliere un impulso corporeo interno e che questo si trasformi in una forma o in un movimento corporei, che danno inizio ad una nuova esperienza.

Si può avvertire con nitidezza o vagamente una sensazione fisica, o un’emozione , o può emergere una immagine dalla psiche. Ecco allora che il corpo incarna, cioè assume la forma e le qualità dello stato interno emerso, in un terreno al limite fra sensorialità ed immaginazione. D’altro canto le immagini si trovano naturalmente in un rapporto di comunicazione con il corpo, le sue sensazioni, il suo sistema neuromuscolare.

Si lascia che il corpo racconti la sua storia e poi, successivamente e non durante il processo di movimento, si apre un dialogo fra l’Io e l’inconscio. L’esperienza di movimento è spesso seguita da una descrizione verbale del percorso corporeo e degli stati interni che lo hanno accompagnato ( a volte è preceduta da un disegno spontaneo o da parole scritte) , rivolta al proprio terapeuta-testimone esterno per comprendere e integrare i vissuti emersi in un processo di elaborazione cosciente.

Ri-unificare e differenziare attraverso il lavoro corporeo

 

In un lavoro terapeutico di “alfabetizzazione corporea”, si possono pian piano scoprire corrispondenze fra posture, gesti, movimenti corporei e atteggiamenti  psichici e cominciare ad individuare, nominare e possedere  le proprie emozioni evitando così di “agire” impulsivamente i propri moti interni attraverso il cibo.

La nuova consapevolezza dell’esistenza di questo stretto legame è un obiettivo fondamentale del lavoro, utile per riprendere un reale controllo sul proprio sistema corpo-psiche, per ri-unificare  gli ambiti dell’inconscio e del conscio, per sviluppare un Io più forte che possa fungere da facilitatore di questo collegamento. Infatti, più l’Io si rafforza, più le proiezioni possono essere ritirate dal cibo.

Imparare a padroneggiare il proprio sistema corpo-psiche significa poter interrompere l’atteggiamento tirannico e distruttivo nei confronti del proprio corpo-Sé e degli altri, e acquisire più fiducia in se stessi e nell’ambiente. Ricongiungersi al proprio Sé significa ritornare alla propria sorgente creativa che prende forma attraverso il corpo ( P. Bourgeois,1981)

Come accennato, un altro aspetto importante che emerge nel disturbo del comportamento alimentare è un’inadeguata differenziazione fra interno ed esterno, come pure fra sé e l’altro. Queste differenziazioni sono necessarie per una sana costituzione del proprio senso di identità.

Spesso le persone che soffrono di disturbi del comportamento alimentare riconoscono se stesse solo attraverso gli altri e percepiscono il proprio corpo come facilmente invaso, sfruttato e sopraffatto da sorgenti esterne ( D. Dokter,2000).

Discernere ciò che è interno a sé, al proprio corpo, da ciò che è esterno è un requisito fondamentale per la creazione di un Io più forte e stabile,  con confini più definiti,’Io si definisce innanzitutto come Io corporeo (Freud,1921).

         

Disturbi del comportamento alimentare: alcuni importanti obiettivi di un lavoro psicocorporeo

 

Questi alcuni fra i principali obiettivi di un lavoro corporeo profondo con individui che soffrono di disturbi dell’alimentazione:

–         sviluppare la consapevolezza del collegamento fra espressione corporea ed espressione emotiva,

–         sviluppare un rapporto di alleanza con il proprio corpo, facilitare esperienze corporee piacevoli ( ad esempio attraverso attività di rilassamento, inizialmente anche condivisa con la /il terapeuta),

–         aumentare la conoscenza e il senso di padronanza del proprio corpo così come della propria vita, sviluppare il proprio senso di identità,

–         ampliare la gamma di movimento ,così da aumentare contemporaneamente anche le proprie capacità adattive, la possibilità di sentire e riflettere sulle esperienze per affrontare meglio le varie situazioni frustranti della vita,

–         aprire un canale di comunicazione con i propri bisogni, desideri e contenuti inconsci, offrendo nuove modalità ( danze, drammatizzazioni, disegno spontaneo, musica, scrittura ed eventualmente il linguaggio parlato ecc.) per simbolizzare ovvero dare forma, contenere ed elaborare tale materiale,

–         sviluppare la consapevolezza dei propri confini corporei, di ciò che è interno ed esterno a sé ,del proprio spazio personale,

–         ri-contattare la propria creatività a cominciare da quella corporea

( J.B. Rice, M. Hardenbergh, L.M. Hornyak,1989).

Note sull’importanza di un approccio psicocorporeo di tipo esperienziale nel lavoro terapeutico

 

Un approccio psicocorporeo  è di tipo esperienziale ( del tipo “pensare e fare, fare e pensare”) e risulta particolarmente utile in quei casi in cui l’individuo non abbia ancora acquisito ( o abbia perso) la capacità di tradurre in parole ciò che sente, a livello corporeo ed emotivo .

Bambini, preadolescenti ed adulti per ragioni diverse possono ricevere da un approccio psicocorporeo grandi benefici in termini terapeutici.

Nell’infanzia il bambino immerso nel gioco è  fondamentalmente “tutto corpo”. Ecco che attraverso un lavoro terapeutico che utilizzi il linguaggio corporeo è possibile osservare, interpretare e sollecitare, attraverso innanzitutto il dialogo corporeo, trasformazioni degli atteggiamenti interni che si riflettono nel “fare”delle azioni fisiche.

Nella preadolescenza, ad esempio, la bambina si sta tramutando in ragazza e il suo corpo si trasforma velocemente tanto che la psiche si può dire che non riesca quasi a stagli dietro! E’ in atto un passaggio dall’utilizzo di un pensiero più orientato concretamente ad un pensiero più capace di maggiori elaborazioni. In questo limbo è di fondamentale importanza l’ancoramento al corpo che funge da anello di collegamento: come dire “ se posso fare con il corpo e pensare con la mente, posso anche  pensare con il corpo e  fare con la mente”.

L’indirizzo psicocorporeo è consigliato anche agli adulti che tendono a razionalizzare, per le più svariate storie di vita, perdendo così il vitale contatto con il proprio corpo sensibile, con i propri istinti, con la propria creatività.

Vi sono poi patologie specifiche, come i disturbi dell’alimentazione, che coinvolgono direttamente il corpo ,o casi di psicosi in cui l’individuo ha perso la capacità di un utilizzo chiaro e coerente del linguaggio verbale .

Un lavoro corporeo profondo può essere fortemente d’aiuto, in quanto il terapeuta condivide con il paziente anche e soprattutto un ambito di espressione simbolica altra dal linguaggio verbale, parlando e comprendendo la sua stessa “lingua” .

Inoltre, come accennato, approcci psicocorporei come la danza-movimento terapia sono incentrati sul “fare” coinvolgendo direttamente l’individuo su un piano esperienziale, permettendogli di contattare , svelare e divenire consapevole di emozioni, immagini e memorie corporee profonde attraverso una nuova modalità simbolica che permette una maggiore libertà espressiva ( Hornyak e Baker, 1989 ).Qui il corpo si offre come “medium creativo ”con tutto il suo potenziale proiettivo che da portatore di sintomo diventa, con il dispiegarsi del lavoro terapeutico, il canale possibile attraverso il quale contattare il proprio mondo interno e l’altro a cominciare dalla relazione con la /il terapeuta.

Questa modalità di lavoro permette all’individuo di dare direttamente corpo alla sua esperienza , facilita una possibilità di essere con l’altro sulla base innanzitutto della condivisione di un “agire” che coinvolge i sensi, risveglia l’energia creativa del corpo e un maggiore senso di realtà . La pratica è seguita da una riflessione verbale che contribuisce ad integrare la modalità incentrata sull’essere con le azioni concrete. Per gli individui  che tendono ad agire i propri impulsi  attraverso il corpo ( acting in, acting out) questa particolare prospettiva di lavoro incentrata sul “ fare-pensare” contribuisce all’attivazione di un senso di autocontrollo, di maggiore tolleranza alla frustrazione e a portare chiarezza fra la fase “concreta” e la fase elaborativa, offrendo modi alternativi e più soddisfacenti di esprimersi e comunicare.

 

Riflessioni conclusive

L’auspicio è che questo scritto possa innanzitutto sollecitare nel lettore una maggiore curiosità e consapevolezza della propria originaria unità psicosomatica , intesa come un senso di pienezza del Sé animato da un corpo di natura psichica.

Questo approfondimento fa luce innanzitutto sull’importante ruolo che assumono i genitori nel delicato processo di regolazione del Sé psicosomatico del neonato, e sulla loro responsabilità nel sintonizzarsi e nel sostenere l’esperienza primaria di natura sensoriale del bambino, che segna il suo primo essere al mondo.

Credo che gli adulti in genere, anche non genitori, possano cogliere in questa riflessione l’indicazione di non perdere il contatto con se stessi, ed in particolare con la propria intelligenza emotiva, fondata sulle medesime modalità primarie così attive nel bambino piccolo, che riguardano prevalentemente modi di fare esperienza e di relazionarsi che coinvolgono direttamente il corpo, dunque a carattere psicosensoriale e psicomotorio. Come evidenziato, queste modalità di espressione e comunicazione costituiscono il nostro linguaggio fondamentale e universale,  l’importante substrato, la fondamentale area subsimbolica che continuerà ad essere presente, a svilupparsi e a sostenerci tutta la vita, e su cui andrà a fondarsi l’avvento della parola.

Nel perdere il contatto con il proprio corpo l’adulto tenderà a confondere il proprio sentire con il pensiero, rischiando che queste due modalità di conoscenza, così preziose per lo sviluppo della nostra consapevolezza, cessino di operare insieme in modo complementare.

E ancora, occorre porre attenzione affinché la mente non prenda il posto del corpo comportandosi da tiranna ma, al contrario, possa riconoscersi pienamente nel corpo e quale corpo, affinché possa emergere con gioia tutta la sacralità del nostro Sé psicosomatico, ancorato alla nostra preziosa materia spirituale.

Vorrei ricordare quanto sia importante che l’aspetto cognitivo si “incarni” nel vissuto affettivo-emotivo, giungendo così all’esperienza intrisa di consapevolezza in cui sentiamo di pensare e parlare con il corpo esprimendoci con un linguaggio naturalmente poetico, e di vivere le nostre emozioni più profonde nel nostro corpo.

Credo infine che questo scritto sottolinei chiaramente l’importanza del dialogo con il corpo nella vita quotidiana e all’interno di percorsi in ambito clinico.

In ambito terapeutico il dialogo fra il corpo e la parola del terapeuta e dell’individuo  si fa “bilingue.”

Abbiamo visto come interventi in ambito di sostegno psicologico, di riabilitazione e abilitazione e  di psicoterapia a mezzo di valide tecniche corporee, integrate a quelle verbali, possono costituire un valido strumento terapeutico specie nel trattamento dei disturbi di natura psicosomatica. Il lavoro qui si fonda essenzialmente su un percorso di integrazione corpo-psiche.

L’importanza dell’integrazione di tecniche psicocorporee, come per esempio la danza movimento terapia ad approccio psicodinamico, diventa essenziale anche nel lavoro con bambini e preadolescenti, con adulti che tendono alla razionalizzazione e con persone regredite con scarso accesso al linguaggio verbale, come in individui con handicap mentale o schizofrenici.

“E’ logico che ci sia un’interazione forte e formativa fra le esperienze del neonato di Sé e l’interazione con chi si prende cura di lui, che forma le basi dello sviluppo psicologico e l’esperienza, unica di ogni neonato, dello sviluppo motorio primario…E’ ovvio che attraverso l’esperienza di abbandono, di spinta, del raggiungere, dell’afferrare e del tirare a sé con chi si prende cura di lui e con l’ambiente, che un senso di sé e del carattere viene a formarsi”(Aposhyan,2004).

 

“Il lavoro corporeo, come il lavoro con i sogni, è lavoro dell’anima; insieme essi illuminano quel punto dove gli apici dello spirito e della materia si toccano e non si toccano” ( Marion Woodman)

 

*Daniela Pancioni, danza movimento terapeuta ATI-APID,  Post Graduate Diploma in Art Psychotherapy  Università statale di Londra, iscritta all’Albo degli Psicologi, Bachelor of Arts in Arti Espressive

Ha frequentato il corso di formazione quadriennale in danza movimento terapia ad approccio psicodinamico presso l’Art Therapy Italiana di Bologna. Negli Stati Uniti , in California, si è diplomata alTamalpa Institute di Anna Halprin, Centro per le arti come forma di autoguarigione ed ha conseguito il Bachelor of Arts in Arti Espressive. E’ coordinatrice del Gruppo regionale Marche-Romagna” dell’Art Therapy Italiana.

Attualmente opera presso il suo studio di Danza Movimento Terapia ad indirizzo psicodinamico “Temenos” di Ancona, in via Dalmazia n°21 ( tel. 071 2803716). Il lavoro che svolge è rivolto sia a singoli individui, che a gruppi. Collabora con cooperative ed enti pubblici e privati nell’ambito di interventi di prevenzione del disagio e  a carattere terapeutico-riabilitativo  Si occupa anche  della formazione degli operatori della relazione d’aiuto.

   

 

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ANORESSIA E MODELLI MOTORI

MODELLI MOTORI DI PAZIENTI CON ANORESSIA NERVOSA

(Da “ Immagine del corpo disturbata nell’anoressia nervosa: interventi di Danza Movimento Terapia”, di Julia Rice, Marylee Hardenbergh e Lynne M. Hornyak – dal libro “ Experiential therapies for eating disorders” , a cura di Lynne  M. Hornyak e Ellen K. Baker-

libera traduzione di Daniela Pancioni)

Abbiamo osservato diversi modelli caratteristici di movimento nel lavoro con pazienti anoressiche.

  1. Le persone con disturbo anoressico spesso mostrano modelli di movimento/posturali rigidamente controllati. I loro busti appaiono indifferenziati, con varie parti operanti come un’unità piuttosto che con movimenti sequenziali. In contrasto il movimento sano include entrambe gli elementi del controllo e della fluidità. Sosteniamo che questi modelli riflettano il tentativo dell’anoressica di mantenere un controllo rigido. Per esempio, un movimento flessibile del busto, come ad esempio un’ondulazione della schiena, potrebbe aumentare il pericolo di produrre sensazioni corporee o emozioni, particolarmente in ambito sessuale nella zona pelvica, cosa che le anoressiche tipicamente temono e/o evitano.
  2. Le anoressiche spesso respirano in modo superficiale. Il respiro poco profondo diminuisce il flusso dell’esperienza sensoria ed emotiva attraverso il corpo (Bartenieff,1980;Bernstein,1972).

Questa tendenza suggerisce anche tentativi di controllo dei sentimenti e delle sensazioni. Per esempio il respiro superficiale può diminuire la consapevolezza corporea dei dolori della fame. Inoltre, trattenere il proprio respiro produce l’effetto collaterale desiderabile di mantenere lo stomaco piatto, dal momento che il respiro tende ad essere trattenuto rigidamente dentro quando il diaframma è contratto. Inoltre questa modalità di respiro può costituire un fattore, per alcuni pazienti, che contribuisce all’uso di una tonalità di voce alta, soffice e ariosa.

Questo tono di voce suggerisce un senso di impotenza, che paradossalmente può essere un modo molto potente di controllare gli altri e le situazioni.

  1. Le anoressiche spesso si curano meticolosamente ed enfatizzano il loro aspetto fisico. Ciò sembra riflettere non solo un conformismo rispetto agli standard culturali generali di attrazione, ma anche una credenza che se “mi presento bene, sono buona”. Questo schema può anche riflettere tematiche legate al controllo, nel senso che un individuo può controllare il proprio aspetto esteriore più che la propria interazione con gli altri.
  2. Il movimento simmetrico è imposto rigidamente, cioè quando un movimento è esperito ad un lato del corpo, l’anoressica lo ripete ugualmente dall’altro lato. I movimenti unilaterali sono rari. Sosteniamo che questi modelli riflettano tendenze perfezionistiche. Essi possono rappresentare i tentativi di queste persone di imporre un ordine a loro stesse, come a compensare con una modalità fisica una mancanza di equilibrio interno.
  3. I movimenti tendono ad essere iniziati dalle parti periferiche del corpo, all’opposto di un inizio dal tronco. Questi movimenti periferici non viaggiano con un flusso naturale. Rimangono come gesti separati dall’intero coinvolgimento del corpo. Perciò sosteniamo che l’inizio periferico rifletta un coinvolgimento distante o un allontanamento dal sé. Questo modello di movimento  suggerisce che le anoressiche possano  mancare del senso di un luogo di controllo dall’interno, dal momento che un senso di controllo corporeo è sperimentato quando si gira o ci si muove con il tronco.
  4. Le anoressiche spesso si coinvolgono in esercizi punitivi o compulsivi, che possono insorgere o anche contribuire ad una insoddisfazione corporea. Questo esercizio rigoroso tende ad isolare le parti del corpo, come le cosce, piuttosto che focalizzare su come il proprio corpo si muove come un intero. Inoltre l’obiettivo di tale esercizio tipicamente è quello di modificare o ridurre la propria taglia, contribuendo a esacerbare la non accettazione del corpo come un intero. Questo modello riflette il tentativo dell’anoressica di acquisire controllo controllando il proprio corpo. Può anche riflettere una mancanza di integrazione di sé, dove il corpo è trattato come un oggetto da essere perfezionato e controllato, piuttosto che come parte dell’intero sé da percepire con piacere e da trattare con rispetto. La tendenza a non considerare questo dolore e a maltrattare il corpo può risultare in una dolore che diventa la norma. La limitata esperienza del piacere corporeo, tipicamente notata nel soggetto anoressico, può risultare dallo sperimentare il corpo come naturalmente doloroso.
  5. Le anoressiche spesso esibiscono braccia da “ragazze pon pon” e si muovono su dimensioni piatte, con movimenti a forma arcuata o a forma radiata. Questi movimenti hanno un flusso tenuto della tensione muscolare, che è un flusso ristretto di energia, e spesso mancano di inflessioni, come una voce piatta e monotona. Questi movimenti direzionali sembrano riflettere un’attitudine orientata ad un obiettivo, in contrasto con il permettere a se stessi di essere coinvolti in un processo di movimento (Dell,1970). Sosteniamo che questo modello rifletta in movimento un’attitudine del tipo “va tutto bene” espressa da molti pazienti anoressici.
  6. Le persone che soffrono di anoressia spesso non sperimentano un senso interiorizzato della forza del proprio peso corporeo. I loro movimenti tendono a mancare di consistenza e solidità, qualità osservate in una persona che abbia un senso del proprio peso attivo o della propria forza. Sosteniamo che questa difficoltà o inabilità sia una caratteristica di individui che hanno una difficoltà ad essere assertivi.
  7. Le anoressiche sembrano possedere un senso molto scarso del proprio spazio personale (chinesfera). Questa tendenza è dimostrata dalla preferenza per movimenti all’interno di un confine ristretto, ampi gesti liberatori non sono comuni. In altre parole, le persone anoressiche non sembrano avere un chiaro senso di possedere uno spazio personale al quale hanno diritto, e che questo spazio possa creare un senso di sicurezza e protezione quando esse sono fuori, nel mondo. Questo modello può indicare uno scarso senso dei propri confini corporei ed una bassa autostima. Bartenieff (1980) suggerisce che lo sviluppo della chinesfera contribuisca ad aumentare l’autostima.

Nel lavoro con le pazienti anoressiche così come con altri individui, il presupposto è che i modelli di movimento che queste persone sviluppano sia inizialmente funzionale per loro. Ad ogni modo questi modelli diventano disfunzionali man mano che altre alternative vengono incluse e i modelli iniziali diventano rigidi.

Così, espandendo il repertorio di movimento del paziente, si può aumentare il suo senso di controllo, così pure come il rispetto di se stesso.

(Da “Danza Movimento Terapia con pazienti bulimiche”, di Arlynne Stark, Simona Aronow e Theresa Mc Geehan- in “Experiential therapies for eating disorders”)

 

MODELLI MOTORI DELLA PAZIENTE BULIMICA

 

  1. Movimento periferico

E’ comune alle pazienti bulimiche usare parti distali e periferiche del corpo per i gesti. Cioè, il movimento raramente fluisce nel tronco o al centro dl corpo. Questo appare riflettere la tendenza delle bulimiche a tenere a distanza i sentimenti e a non essere in contatto con le sensazioni ed i bisogni corporei.

  1. “Posizione di purga”

Le persone bulimiche spesso stanno sedute con il petto che affonda, le spalle curvate in avanti ed il mento che sporge fuori in una postura tipica dei pazienti depressi. Il mento sporgente e le spalle ricurve sono simili alla posizione del mento e della testa quando si vomita. Le autrici hanno denominato questa posizione “la postura della purga/vomito”.

  1. Tronco inattivo

Spesso le pazienti bulimiche non si coinvolgono nel movimento che fluisce attraverso o utilizza l’area del tronco. Così c’è uno scarso adattamento, aggiustamento ed una scarsa possibilità di plasmarsi e rispondere con questa parte dl corpo. Il movimento del tronco spesso appare piatto. Al contrario della paziente anoressica, che è spesso rigida nel tronco, la bulimica può essere molto passiva e sembra fondersi con gli altri o gli oggetti dell’ambiente. Per esempio le persone bulimiche possono ripiegarsi o conformarsi ai contorni di una sedia come se questa fosse un contenitore per loro.

  1. Poco senso dello spazio dell’ambiente

Questa caratteristica può indicare una difficoltà nel raggiungere e interagire effettivamente con l’ambiente.

  1. Velocità esagerata e urgenza del tempo o mancanza dl senso del tempo

Le pazienti bulimiche spesso si fermano e si muovono a scatti, piuttosto che effettuare transizioni più graduali. Questo atteggiamento sembra essere associato con l’impulsività.

  1. Affetto superficiale

Le persone bulimiche spesso presentano un sorriso falso o sono spesso molto animate : Coloro che tendono ad utilizzare molto movimento corporeo possono proiettare ciò che appare essere un’immagine di sé falsa o recitata per gli altri.

  1. Perdita delle connessioni integrate dl corpo

Una connessione integrata fra la parte superiore ed inferiore del corpo viene a mancare. Spesso il movimento che avviene nella parte superiore del corpo non fluisce liberamente attraverso e nella parte inferiore; similmente il movimento che inizia nella parte inferiore appare disconnesso dalla parte superiore (per es., come una marionetta).

  1. Modalità attivo/passiva

La paziente bulimica spesso opera o in una modalità molto attiva o molto passiva. Andare da un estremo all’altro sembra essere la norma, piuttosto che bilanciare e modulare fra i due estremi.

La maggior parte delle pazienti bulimiche non sono in contatto con le sensazioni del corpo ed i sentimenti. Il movimento osservato in questi individui comunica l’impressione che essi tentino di tramortire il loro corpo o di essere attive per prevenire la consapevolezza dei loro sentimenti più profondi. In alcuni casi, queste persone sono state fisicamente o sessualmente abusate. Aldilà della loro storia personale, alla maggior parte delle bulimiche non piace il proprio corpo ed hanno un’immagine ed un concetto di sé molto poveri.

La Danza Movimento Terapia promuove e sostiene la consapevolezza delle sensazioni del corpo e dei sentimenti. Le pazienti bulimiche possono diventare consapevoli di come esse abusino il proprio corpo ( vomitando) per tenere lontani sentimenti e sensazioni spiacevoli. La DMT offrirà l’uso del movimento col proposito di modificare o cambiare le caratteristiche di movimento disfunzionali sopra menzionate. Attraverso interventi di movimento può essere favorita una nuova modalità di apprendimento e possono emergere i sentimenti.

LA PRATICA DELLA PRESENZA ATTRAVERSO IL MOVIMENTO

( da un discorso di i Eckhart Tolle – liberamente tradotto dal DVD “Presence through movement –Qi flow yoga” di Kim Eng))

 Un aspetto stupendo del movimento è che ti mette in contatto con il campo energetico interno del corpo. Per molte persone il movimento può essere usato come strumento utile per accedere a questo campo di energia interna. Qui non parliamo di qualsiasi tipo di movimento, ma di movimento cosciente. Noi ci muoviamo sempre, non solo fisicamente ma anche mentalmente. Ci muoviamo di qua e di là, corriamo di qua e di là, la nostra mente si muove costantemente, è attiva e la maggior parte di quel movimento è effettivamente inconscio. La mente ha la sua quantità di moto, le tue attività quotidiane pure e di solito quando il movimento inconscio accade, in realtà tu non si mai davvero presente lì dove sei, ma stai sempre proiettando te stesso alla fine di quel movimento. Le persone vivono quotidianamente le loro vite così e questo è il modo in cui insorge lo stress. Molte persone vivono uno stress continuo perché non sono mai pienamente presenti a ciò che fanno, mentalmente si proiettano in avanti, dove vogliono arrivare, alla fine del loro fare. E c’è una differenza qualitativa enorme fra un’azione che è un mezzo per un fine,cioè una comune azione inconscia, e il fare o un’ azione che è cosciente, che è cioè il fine stesso. In altre parole in quest’ultimo caso si tratta di un’azione alla quale tu dai la tua completa attenzione. Così anche quando io sollevo la mia mano alcuni centimetri, la tendenza comune sarebbe per me di proiettarmi dove voglio che la mano arrivi, così mentre muovo la mia mano verso l’alto, io in realtà voglio arrivare alla fine del movimento , così come quando abbasso la mano:questo è il movimento inteso come mezzo per un fine ed il fine è sempre il futuro. E’ così che le persone perdono se stesse mentre si muovono,e la maggior parte delle persone si perde sia nel movimento fisico, che in quello della loro mente e corrono costantemente di qua e di là a prendere e a sistemare le cose perdendo sempre il potere che è inerente alla coscienza stessa. Una dimensione più profonda sorge infatti quando sei totalmente presente in ciò che fai. Così, tornando all’esempio della mano, se sollevo questa coscientemente allora, in ogni momento, sono pienamente presente. Così, in ogni momento di questo movimento,non voglio essere là mentre sono qui! Contemporaneamente mentre mi muovo coscientemente sento un’energia che fluisce attraverso la mano perché qui c’è la mia attenzione .E questa è l’attivazione del campo energetico interno che possiamo chiamare “Qi”, o come lo vogliamo chiamare. Così, quando muovo la mia mano coscientemente è presente un’energia che prima non c’era. Questo è il miracolo del muoversi coscientemente!

Uno dei grandi benefici del muoversi coscientemente è che quando porti l’ attenzione totale ad un movimento appunto,in quel momento non c’è abbastanza attenzione rimasta per pensare! Il movimento cosciente elimina l’attività della mente, perché non puoi eseguire bene un dato movimento, se ci sono pensieri che ti passano per la testa. Se stai pensando all’imminente collasso del mercato finanziario, non puoi eseguire bene un dato movimento, non ti diverti a farlo perché vuoi essere da qualche altra parte,hai altre cose a cui pensare1

Così, in una pratica di presenza attraverso il movimento tu porti la tua attenzione al movimento stesso, qualunque esso sia. Mentre vi porti l’attenzione, questa è ritirata dal pensare. E questa è la chiave:ritirando l’attenzione dal pensare,non solo diventi vigile, ma contemporaneamente immobile. Immobilità non vuol dire stare seduto e fermo. Ciò a cui l’immobilità si riferisce, è la sensazione di pensare senza perdita di consapevolezza, anzi, piuttosto c’è un aumento della coscienza, diventi più vigile, molto più che in uno stato abituale in cui sei coinvolto nel pensare!

Quindi ciò che fa la presenza attraverso il movimento è portarti fuori da dove solitamente dimori, cioè nel movimento del pensiero, liberarti dall’essere intrappolata/o dal movimento del pensiero e così ciò che emerge è la pura attenzione e  questa è una cosa miracolosa! Il sorgere di questa pura attenzione, che possiamo chiamare presenza, è anche il sorgere della dimensione incondizionata in te. C’è un’intelligenzalì che non ha niente a che vedere con il tuo passato o il tuo futuro. Così, quando la coscienza si distacca dal pensare e improvvisamente è lì come pura coscienza, sorge  da dentro di te una dimensione di profondità che è  sempre stata lì ma tu non lo sapevi, o forse avevi avuto solo barlumi di essa. Un’altra parola per questa realizzazione è risveglio spirituale, e comunque la vogliamo chiamare questa presenza è ciò che è, è l’emergere della dimensione della coscienza più profonda, incondizionata.

Questo è il motivo per cui pratichiamo la presenza attraverso il movimento. Naturalmente si può diventare presenti anche stando seduti e fermi, ma per molte persone questa modalità costituisce un problema, perché quando siedono ferme non sanno dove posare la loro attenzione, così cominciano a pensare, o piuttosto continuano a pensare!

Gradualmente possiamo portare questa presenza, questa attenzione completa nelle piccole cose che facciamo nella vita di tutti i giorni, così che il fare sia il fine stesso dell’azione. Così nel fare c’è un enorme arricchimento della differenza qualitativa! Come nel bere una tazza di tè: non vuoi arrivare alla fine dell’azione, vuoi essere totalmente presente in ogni movimento.

Quando cominci a vivere così c’è un potere che scorre attraverso di te, un potere che non c’era nel modo ordinario inconscio di vivere di prima. Ed è da questo potere che scaturiscono la creatività ed un’intensa vitalità! Cerca questo potere in te perché se non lo trovi ti perderesti la cosa più meravigliosa che possa accadere ad un essere umano nella sua incarnazione su questo pianeta: il risveglio, il fiorire dellacoscienza! E’ per questo che siamo qui!